Gianfranco Giovannone
Dopo una storia controversa che ha visto coinvolti la Cina, gli Stati Uniti con la mediazione dell’Unione Africana e superando a malapena l’ostilità dei Paesi limitrofi, è stata inaugurata in Etiopia la Gerd, la “diga del millennio”, la seconda più grande dell’Africa dopo quella nigeriana. La maggior parte dei finanziamenti è arrivata dalle istituzioni statali ma, secondo un funzionario citato da Al Jazeera, dal 2023 al 2024 sono stati raccolti circa 21 milioni di dollari tra i cittadini. Dal 2022 al 2025 la diaspora etiope ha versato altri dieci milioni.
“L’Etiopia è considerata la ‘torre dell’acqua dell’Africa’ perché riceve piogge abbondanti e ha molti fiumi”, ricorda Al Jazeera. “Varie dighe sono state costruite all’inizio degli anni duemila, rendendo il paese uno dei principali produttori di energia idroelettrica del continente. Ma l’idea di costruirne una, molto più grande, sul Nilo ha cominciato a concretizzarsi solo verso la fine di quel decennio”.
“C’è chi la considera solo una centrale elettrica, ma per altri è una promessa di dignità, di indipendenza, di luce in case che sono rimaste a lungo al buio”, scrive con una certa enfasi il giornale etiope The Reporter, ricordando che l’infrastruttura è stata costruita anche grazie ai sacrifici della popolazione. “I contadini hanno venduto i loro animali, gli insegnanti hanno donato mesi dei loro stipendi e milioni di persone hanno comprato titoli di stato che potevano a malapena permettersi”.
E’ considerata la maggiore infrastruttura idrica d’Africa. La cosiddetta “diga del Millennio” , in acronimo GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam, tradotto ‘Grande Diga del Rinascimento Etiope’”), alle sorgenti del Nilo Azzurro che bagna anche Sudan e in particolare l’Egitto, è stata inaugurata nell’ambito del Secondo Vertice africano sul clima (ACS2) in corso ad Addis Abeba dall’8 al 10 settembre.
L’inaugurazione di questa importantissima infrastruttura dovrebbe segnare la fine di una guerra fredda africana per l’acqua del Nilo durata molti anni e rappresenta una tappa importante del nuovo corso avviato dal continente per fare delle energie rinnovabili il suo punto di forza.
La storia
I lavori di costruzione cominciarono nel 2011, a seguito di controversi accordi siglati nel maggio 2010 tra sei dei dieci paesi del bacino del Nilo per ridistribuire le quotei driche del Nilo. L’accordo fu respinto dall’Egitto e dal Sudan, due nazioni a valle, che temevano che potesse minacciare le loro assegnazioni annuali rispettivamente di 55,5 e 18,5 miliardi di metri cubi.
Tensioni con l’Egitto
La mossa suscitò l’ira dell’Egitto, che storicamente si è sempre opposto alla costruzione di dighe a monte del Nilo. Le tensioni si trasformarono presto in proteste di piazza: il 31 maggio 2013, decine di egiziani si radunarono davanti all’ambasciata etiope al Cairo per protestare contro l’inizio dei lavori di costruzione della Grande Diga del Rinascimento Etiope. Solo pochi giorni prima, l’Etiopia aveva deviato un affluente del Nilo, segnando il primo passo preparatorio alla costruzione dell’ambiziosa diga.
L’iniziativa destò allarme in Egitto, dove si temeva che il progetto potesse minacciare la quota vitale di acqua del Nilo spettante al paese che nei fatti dipende principalmente dal Nilo per il suo approvvigionamento idrico e ha come unica alternativa l’acqua estratta dal sottosuolo.
Si prevede che la Diga, costruita dalla società italiana Webuild con AD Pietro Salini, ospiterà la maggiore centrale idroelettrica dell’Africa che produrrà più di 5.000 megawatt, raddoppiando l’attuale produzione elettrica dell’Etiopia, parte della quale sarà esportata nei paesi vicini.
L’intervento della Cina
Con l’avanzare dei lavori di costruzione, l’Etiopia iniziò a cercare sostegno internazionale. Nel giugno 2013, l’allora primo ministro etiope Hailemariam Desalegn incontrò il presidente cinese Xi Jinping a Pechino, dopo aver ottenuto dalla Cina un prestito di 1 miliardo di dollari per la costruzione di linee di trasmissione che avrebbero collegato Addis Abeba al sito della diga.
I negoziati diplomatici comunque proseguirono parallelamente alla costruzione della diga. Il 6 novembre 2019, le delegazioni di Egitto, Etiopia e Sudan si incontrarono a Washington, D.C. nel tentativo di sbloccare la situazione di stallo. L’Etiopia si stava preparando a iniziare il riempimento del bacino della diga l’anno successivo. Nonostante gli impegni precedentemente assunti per risolvere la controversia I colloqui ripresero grazie alla mediazione dell’Unione Africana, ma il 14 luglio 2020 i tre paesi annunciarono di non essere riusciti a raggiungere un accordo dopo undici sessioni online. L’Etiopia attribuì la responsabilità dello stallo alle “richieste immutate, aggiuntive ed eccessive” dell’Egitto e del Sudan, mentre l’Egitto e il Sudan ribadirono la necessità di un accordo giuridicamente vincolante prima dell’inizio del riempimento della diga. L’Etiopia però aveva già iniziato a riempire la diga.
Nel settembre 2020 il premier Aby Ahmed inviò un messaggio video all’Assemblea Generale dell’ONU in cui diceva: “Voglio chiarire in modo inequivocabile che non abbiamo alcuna intenzione di danneggiare questi paesi (Egitto e Sudan, ndr). Quello che stiamo facendo, in sostanza, è soddisfare il nostro fabbisogno di energia elettrica da una delle fonti energetiche più pulite. Non possiamo permetterci di continuare a tenere più di 65 milioni di nostri cittadini al buio”.
Secondo l’Avvenire i conflitti con Egitto e Sudan però non sono stati affatto superati. La tensione resta quindi alta in tutta l’area del Corno e nel Nordafrica e anche se il Cairo ha promesso che non risolverà militarmente la questione, il ministro degli Esteri egiziano ha dichiarato che la diga pone una minaccia esistenziale all’Egitto.
La tensione tra Cairo e Addis Abeba si riverbera in guerre per procura. Se non è mai stato provato il supporto egiziano alla leadership tigrina nel conflitto in Tigrai del 2020-22, è certo che in Sudan, dove è in corso una guerra civile violentissima che ha provocato la più grande crisi umanitaria del globo, l’Egitto sostiene il le forze armate del generale al Burhan mentre gli etiopi stanno con i paramilitari delle Rapid Suppor Forces che puntano a creare uno stato autonomo nella zona occidentale.
E ad Addis Abeba si pensa che, vista la tenacia e la resilienza dimostrata dal popolo e dal governo, il prossimo obiettivo etiope sarà lo sbocco sul mar Rosso a tutti i costi. E se non sarà in Somaliland, sarà in Eritrea, con il porto di Assab.